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Steven Spielberg rifà dinosauri, tirannosauri, velociraptori, stegosauri.

Sempre più perfetti, mansueti, simpatici, pazzarielli, poi (poiché disturbati, non dimentichiamo l'aspetto ecologico-corretto ormai indispensabile ad ogni successo...) pure cattivi. Comunque straordinariamente veri: più veri ormai delle mucche appenzellesi, quelle riprese al video-otto con la nonna in vacanza che le afferra per le corna.

La sorpresa (elemento essenziale al cinema spielberghiano: quella del Meraviglioso inseguito da sempre dall'Eroe puro e disincantato) funziona ancora: ma forse, al cospetto di questi remakes di dimensione planetarie con corollario di gadget programmati da principi del marketing, diventa sempre più azzardato parlare pure d'Innocenza dell'autore. Come del mitico Fanciullo, capace di tramutare in tecnologia spettacolare i propri sogni. O del messianico Sognatore: a sua volta abilitato a mutare in religiosi atti di fede le pionieristiche frontiere del mito americano.

Diciamo che il tempo (e, forse, esperienze più concrete, come quella di SCHINDLER LIST) ha un poco incallito la favolistica del nostro. Tuttavia, non ancora scalfito (anzi, forse perfezionato) la sua mano di burattinaio. Quel suo modo di trasformare in dinamica pura i protagonisti: umani, animali, meccanici, extraterrestri, tutti lanciati in una inarrestabile fuga innanzi, il camion di DUEL, le auto di SUGARLAND, il pescecane di JAWS, i vascelli spaziali di INCONTRI RAVVICINATI, i vagoncini di INDIANA JONES. Filosofia, forse un po' spicciola ma certamente splendidamente esplicita della cinetica: dove ogni peripezia, volontà, amore, paura, sentimento è pretesto ad una traduzione essenzialmente dinamica. Alla trasformazione di un itinerario morale (o moralistico: non dimentichiamo quanto assomiglino i personaggi banali, piccolo borghesi di Spielberg a quelli tanto ammirati di Ford e di Hitchcock) in un percorso fisico, geografico, concreto: in energia pura.

In questo senso le peripezie di JURASSIC PARK 2 (la corsa incessante degli uomini o degli animali, il progredire delle macchine, l'incredibile sequenza mozzafiato delle roulotte in bilico sul precipizio...) sono certo il risultato di un mero calcolo spettacolare assistito dai mestieranti hollywoodiani: ma pure di una personalissima concezione figurativa, alla quale riesce istintivamente di trasformare in efficacissima esasperazione dinamica i sentimenti, magari anche primari, delle proprie storie.

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Steven Spielberg remakes dinosaurs, tyrannosaurs, velociraptors, stegosaurs.

More and more perfect, tame, likeable, crazy, then (since they are disturbed, let's not forget the ecological-correct aspect that is by now indispensable for any success...) even evil. However, they are extraordinarily real: more real now than the Appenzell cows, those filmed on video with the grandmother on holiday grabbing them by the horns.

The surprise (an essential element of Spielbergian cinema: the one of the Wonderful always pursued by the pure and disenchanted Hero) still works: but maybe, in the presence of these remakes of planetary dimensions with a corollary of gadgets programmed by marketing principles, it becomes more and more risky to talk about the Innocence of the author. Like the mythical Child, capable of transforming his own dreams into spectacular technology. Or of the messianic Dreamer: in turn able to transform the pioneering frontiers of the American myth into religious acts of faith.

Let's say that time (and, perhaps, more concrete experiences, such as that of SCHINDLER LIST) has somewhat hardened the fabulistic nature of ours. However, his puppeteer's hand has not yet been touched (or rather, perhaps perfected). His way of transforming the protagonists into pure dynamics: humans, animals, mechanics, extraterrestrials, all launched into an unstoppable flight ahead, the truck in DUEL, the cars in SUGARLAND, the shark in JAWS, the space vessels in CLOSE ENCOUNTERS, the wagons in INDIANA JONES. A philosophy, perhaps a little trivial but certainly splendidly explicit, of kinetics: where every vicissitude, will, love, fear and feeling is a pretext for an essentially dynamic translation. To the transformation of a moral (or moralistic: let us not forget how much Spielberg's banal, petit-bourgeois characters resemble those so admired by Ford and Hitchcock) itinerary into a physical, geographical, concrete one: into pure energy.

In this sense, the vicissitudes of JURASSIC PARK 2 (the incessant running of the men and animals, the progress of the machines, the incredible breathtaking sequence of the caravans hovering over the precipice...) are certainly the result of a mere spectacular calculation assisted by Hollywood professionals: but also of a very personal figurative conception, which instinctively succeeds in transforming the feelings, even the primary ones, of its stories into a highly effective dynamic exasperation.

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